Simona&Simona: liberate la protesta

Sono tornate, le abbiamo viste sorridere titubanti appena si sono tolte il velo nero, le abbiamo viste sorridere spaesate sotto il flash dei fotografi a Ciampino, le abbiamo viste sorridere consapevoli nei loro “giorno dopo” romano e riminese.

Sono tornate, forse solo per ripartire e tornare in quella terra tormentata, convinte del loro lavoro e della necessità di dare una speranza ai bambini, alle madri, a tutti coloro che sono stanchi di morti e bombe.

Non sapevano nulla delle manifestazioni italiane e iraqene, come del resto era facile immaginare, ed allora vorrei dire a Simona&Simona di guardare attentamente i filmati delle manifestazioni, di confrontare le inquadrature strette sui volti dei bambini iracheni, sui loro cartelli, sulle loro madri con le inquadrature larghe a mostrare strade piene di gente in Italia.

Quelle inquadrature strette cercavo di mascherare il vuoto alle spalle di quel pugno di persone, dieci? forse venti?
E’ un inizio certo, ma occorre di più. Dicono che la manifestazione di piazza non sia nella cultura musulmana, ma ci sono tempi in cui occorre andare oltre i confini della propria cultura.

Spero di vedere presto nelle strade iraqene donne, uomini e bambini che dicono basta; basta al loro sacrificio quotidiano sotto le bombe o i colpi di mortaio, basta alla presenza di militari stranieri, basta ai giovani uccisi solo perché fanno la fila per diventare poliziotti, non certo per convinzione, non certo per spirito patriottico ma solo perché è facile immaginare che oggi in Iraq quello del poliziotto sia l’unico mestiere che dà la speranza di uno stipendio a fine mese.

Spero di vederli in piazza presto gli iraqeni, spero di vederli riempire le strade ed urlare il loro diritto di riprendersi il paese, quel meraviglioso paese di cui ci hanno parlato le due Simone, togliendo così un tacito consenso a coloro che non si fanno scrupoli nel farli saltare in aria quotidianamente.

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