Eppure io, signor Terzani, ci avevo creduto per davvero
Il telegiornale ne ha dato notizia alla fine, un attimo prima di chiudere e in un attimo ha risolto la questione: lutto nel mondo del giornalismo, è morto Tiziano Terzani, aveva 66 anni. Son rimasta là¬, incredula. Ma come, morto. Insomma, cosa vuol dire morto? Non doveva vivere fino al 2006 e anche in quel caso forse non si sarebbe trattato proprio della morte?
Mi sono accorta in quel momento, signor Terzani, che io ci avevo davvero creduto alla profezia dello swami. Per una volta volevo davvero credere che il “malanno” si riuscisse a fermare, che lei – pendolare tra la medicina occidentale e orientale – fosse riuscito a trovare un’alchimia tutta personale per tenerlo a bada, anche se – al termine del suo ultimo libro – lascia intendere che gli “aggiustatori di New York” per curare il suo malanno hanno finito per farne venire fuori un altro.
La sua ricerca meritava più tempo. Il suo desiderio – arrivare al punto in cui non si ha più bisogno del tempo e quello che ancora rimane è tempo per gli altri – meritava di essere esaudito. La speranza meritava di avere un nuova chance.
Penso ad Angela, sua moglie, la donna che, pur sapendo della morte che incombeva non l’ha trattenuta, l’ha lasciata andare nei suoi viaggi, nell’esilio volontario della capanna sull’Himalaya.
Il vostro deve essere stato un grande amore, signor Terzani, che ha saputo superare difficoltà e tensioni. Anche per questo meritava più tempo.
Sà¬, ho voluto crederci, ho voluto credere che per una volta una condanna a morte potesse essere cancellata dalla determinazione e dall’intelligenza, dalla ricerca e da un progetto: saper trovare la pace non solo nell’isolamento dell’Himalaya ma anche nel traffico e nel caos di tutti i giorni.
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