Barentsburg e il ghiacciaio Esmarkbreen

24 giugno 2011

Sulla MS Langøysund verso Barentsburg e il ghiacciaio Esmarkbreen


Eccoci di nuovi qui. In questa nostra strana idea delle vacanze al mare. A due anni dalle navigazioni nell’oceano Pacifico verso i ghiacciai dell’Alaska, ci ritroviamo ancora una volta sul ponte di un’imbarcazione, IMGP7141_Barentsburgimbacuccati, con il berretto calcato in testa, sferzati dal vento e circondati da un paesaggio straniante, fatto di versanti scoscesi verso il mare chiazzati da ampie macchie di neve. Ci lasciamo trasportare dal rollio della barca mentre appoggiati al parapetto, ci godiamo lo scenario a noi più congeniale. La MS Langøysund sulla quale si troviamo è un’imbarcazione medio piccola del 1954. Saremo una trentina di persone di cui la maggioranza parlano norvegese o comunque una lingua scandinava. Siamo gli unici italiani. Alle nove molliamo l’ancora, la navigazione ci occuperà tutta la giornata con orario di ritorno previsto verso le sei del pomeriggio.

Usciamo dall’Adventsfjorden in cui si trova Longyearbyen e ci dirigiamo a sud nell’Isfjorden. Subito dopo la partenza ci danno una dimostrazione su come utilizzare tuta e salvagente. Tutto molto chiaro ma per nulla facile, l’acqua là fuori è assolutamente gelida e lascia pochi minuti di autonomia al malcapitato che dovesse caderci dentro. Applaudiamo la vivace dimostrazione confidando di non aver bisogno di metterla in pratica. Le acque dell’Isfjorden sono tranquille, la giornata è tersa, se appena si trova un angolo non sferzato dal vento si può perfino sentire il calore del sole sulla faccia, unica parte esposta. Siamo circondati da una cintura di montagne innevate. Quelle più vicine al mare con le cime piatte, dietro alle quali si erge qualche cucuzzolo. Le cime più alte si aggirano sui mille metri mentre la maggioranza si eleva per qualche centinaio di metri.

La nostra navigazione prosegue tranquilla quando il capitano ci avvisa che l’imbarcazione è stata scelta per una delle periodiche esercitazioni dell’elisoccorso. Troviamo subito il nostro posto in prima fila sul ponte superiore dell’imbarcazione e ci gustiamo le operazioni. L’elicottero staziona quasi immobile sulle nostre teste, come un enorme, rumoroso calabrone. Gli addetti a bordo calano le corde lungo cui i soccorritori scendono sul ponte. L’elicottero si allontana per qualche minuto per poi tornare e svolgere l’operazione contraria di recuperare i tre soccorritori che sono scesi. Tutta l’operazione si svolge senza che il battello interrompa la navigazione. Non ci facciamo scrupolo di starcene lì a scattare foto, poiché si tratta di un’esercitazione. Altro sarebbe se fosse un’operazione di soccorso vera e propria, di sicuro non ce ne staremmo qui con il rischio di essere d’intralcio.
Allontanatosi l’elicottero, la navigazione prosegue tranquilla, scrutiamo il pelo dell’acqua appena increspato nella speranza di scorgere lo sbuffo di una balena. Qua e là sulla superficie minuscole onde schiumano in una striscia bianca che ogni volta ci fa sospettare che lì stia avvenendo qualcosa.

Il ghiacciaio Esmarkbreen

Verso le 11.30 arriviamo in vista del ghiacciaio Esmarkbreen e ci sentiamo come se ritornassimo a casa. In lontananza il ghiacciaio si presenta come un unico blocco bianco al centro di una fascia in cui la neve è punteggiata dalle zone marroni in cui si è sciolta mescolandosi con il terreno. Quanto arriviamo nei pressi del IMGP7246_Barentsburg_ghiacciaio Esmarkbreenghiacciaio, ci si presenta una piccola delusione: per un buon chilometro e oltre la parte antistante al ghiacciaio è un’enorme solida placca di ghiaccio. L’imbarcazione si deve fermare lì, non può proseguire oltre. La chiglia si appoggia appena al bordo per sfruttare tutto lo spazio disponibile ma anche così il fronte principale che digrada in mare rimane un bel po’ distante. Sul biancore intenso in cui la luce limpida del sole si riflette accecandoci se ne sta solitaria una foca. Tranquilla e sicura che – almeno dagli uomini – non ha nulla da temere.

Come sarebbe bello se potessimo intravedere anche un orso bianco. L’Esmarkbreen (“breen” significa ghiacciaio) è alto 40 mt e largo circa 2 km. Da questa distanza però non lo si può certo apprezzare in tutta la sua bellezza. (Nota: curioso dei ghiacciai? leggi qui quelli che abbiamo visto in Alaska: link a pagina alaska)
Dopo la breve sosta riprendiamo la navigazione verso Barentsburg. Ormai è quasi mezzogiorno e la “ciurma” si attiva per preparare il pranzo accendendo il barbecue. E’ davvero la prima volta che vediamo una griglia su una barca. Dalla cucina escono tegami ricolmi di tranci di salmone che vengono tenuti al caldo sulle braci dove cuociono delle fettine di carne di un bruno intenso. Quando il cuoco mi dice che si tratta di balena penso che mi stia prendendo in giro. E invece mi assicura che non sta scherzando, quella è proprio carne del gigantesco cetaceo. (vedere caccia balene norvegia odierna) Ce ne facciamo servire un pezzettino e proviamo ad assaggiarla. La consistenza della carne assomiglia a quella del fegato. Il sapore è difficile da identificare, tutto sommato non ne rimaniamo particolarmente esaltati. A noi le balene piacciono mentre saltano e balzano sull’acqua davanti ai nostri occhi (Guarda le foto scattate in Canada). Sono le 14 quando finalmente sulla costa compaiono le prime costruzioni di Barentsburg.

Barentsburg: la città quasi fantasma


IMGP7261_Barentsburg_minieraDa sempre centro minerario russo, nei tempi d’oro Barentsburg contava fino a 1500 abitanti. Crollato il muro e dissoltasi l’Unione sovietica per molti mesi gli abitanti della comunità (oggi con i suoi 400 abitanti è la seconda per grandezza dopo Longyearbyen) sono stati abbandonati a se stessi, senza più notizie dalla madre Russia, né stipendi per gli operai. Oggi la residua attività mineraria è gestita da una società russa di proprietà dello stato. Chi accetta di lavorare in questo luogo dimenticato da tutti, lo fa con un contratto di due anni che immaginiamo sia pagato bene o, quantomeno, assicuri qualche privilegio al rientro in patria. Due anni qui devono essere lunghi da passare.

All’attracco ci aspetta la nostra guida ucraina come la maggioranza degli attuali abitanti. Veniamo intruppati dietro di lei e – sebbene l’unione sovietica non ci sia più – questo sollecitarci a stare in gruppo e a non disperderci ci dà l’impressione che le vecchie abitudini “soviet” siano dure a morire. Barentsburg è dotato di una fattoria e una stalla che produce quanto serve alla popolazione, oltre ai rifornimenti che arrivano via mare. Qui vivono anche famiglie con prole. Per i 29 ragazzini sotto gli otto anni c’è l’asilo e la scuola. I più grandi devono rimanere in patria per studiare.

Un tuffo nel mondo sovietico

Che questo luogo sia in disfacimento lo si capisce fin dal momento in cui si mette il piede sulla terra ferma. Solo alcune delle strutture sono oggi utilizzate, tutto il resto è lasciato a se stesso in un completo stato di abbandono e fissato nel tempo di quando ancora c’era il regime sovietico. Nel centro della comunità campeggia una statua a Lenin, lungo il percorso grandi scritti e manifesti con volti eroici e decisi del rivoluzionario russo. La compagnia che gestisce la miniera (500 mt nel sottosuolo) organizza spettacoli di teatro e musical. Un volo direttamente dalla Russia porta ogni due mesi compagnie teatrali, i nuovi arrivati, e notizie fresche.
Nel 1996 uno di questi voli cadde provocando la morte di tutti i passeggeri.

Nel perfetto stile sovietico della mente sana in un corpo sano, Barentsburg dispone di una biblioteca e di un palazzetto dello sport con relativa piscina. Non esiste il denaro e gli abitanti utilizzano una sorta di carta di credito interna alla comunità. Ma, ovviamente, il piccolo negozio di souvenir è felicissimo di accettare le Visa dei turisti. Le strade per i pochi veicoli, tutti rigorosamente senza targa, sono costituite da lastroni di cemento affiancati l’uno all’altro. Ipotizziamo che siano meno soggetti alle crepe causate dal gelo. La visita si conclude nel bar dell’albergo che è in ristrutturazione. Tutti s’infilano dentro all’edificio mentre Cal ed io ne approfittiamo per gironzolare da soli. La cittadina è di una desolazione impressionante, case diroccate che ora sono diventate i nidi preferiti per i chiassosi e rissosi gabbiani artici (VIDEO). Le vecchie strutture minerarie ora non più utilizzate si ergono con artigli di ferro arrugginito su una baia di una bellezza incontenibile. IMGP7285_Barentsburg_LeninArriviamo alla statua del vecchio Lenin, lo sguardo altero e inconsapevole degli avvenimenti degli ultimi vent’anni. E’ la seconda statua più a nord nel mondo, essendo quella di Pyramiden la statua più a nord in assoluto. Sopra di lui, sul fianco della montagna la scritta in cirillico: Miru Mir, Pace nel mondo.

To Barentsburg and Esmarkbreen glacier

Only after two years here we are again, out in the ocean toward a tidewater glacier. This is our idea of “go to the beach”, the cold, the sea, a marvellous and wild panorama around us. We saw Esmarkbreen glacier but not really close because of an iced plate which kept us one kilometer far from the glacier front.
On the boat, the MS Langøysund, we tasted the meat of a whale. We can’t say really what the taste is like, it remembers the liver, more or less. In any case we decided that we prefer to see the whales jumping out of the water (See the pictures we took in Canada), instead of having them on a dish.

Barentsburg: A jump in the russians old days. Till twenty years ago 1500 people leaved here. Now they are only 400, all of them employees of a Russian Coal state company with a contract of two years. In the community main square is still visible a Lenin monument which is the world’s second northenmost statue of Lenin (as in Pyramiden there is the top northenmost statue of Lenin). Barentsburg has an Helicopter port. No money is used here. People have a sort of company credit card. But don’t worry at the small souvenir shop, they will happy to accept also your visa.

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