Skansdalen: il ghiacciaio che non c’è più

Skansdalen, 7 ore di cammino, dislivello minimo

26 giugno 2011

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Notte in cui più che dormire, ci siamo appisolati qua e là. Dirk ha sistemato in cani a triangolo in modo da coprire tutti i lati del campo base. Niko il capo, Naya la femmina e il giovane Mod devono avvisare in caso si avvicini un orso. Se ciò avvenisse, ci spiega la guida, abbaieranno in un modo del tutto particolare. Gli chiediamo come facciamo a riconoscerlo se non l’abbiamo mai sentito e lui, con fare sibillino, ci dice che se succederà lo sapremo di sicuro.
Mod è al suo primo trekking, è legato alla parte più esterna del campo dove, probabilmente, non riesce a vedere Niko e Naya. Dev’essere anche un cane che non sopporta la solitudine perché guaisce e si lamenta per quasi tutta la notte, mentre noi, a ogni variazione dei suoi suoni ci chiediamo se sia il segnale per l’orso.

Con il sole 24 ore su 24 è difficile riposare

Così andiamo e veniamo tra continui stati d’incoscienza e risvegli. Contrariamente alle aspettative, la combinazione sacco a pelo, materassino si è rivelata abbastanza morbida, grazie anche al fondo ghiaioso fatto di sassi piatti e rotondi.

E’ il sole a essere inesorabile. Qui l’alba significa che il sole da sinistra si sposta a destra costantemente sopra l’orizzonte. Nella nuova posizione punta dritto sulla nostra tenda che si è trasformata in un forno.
In ogni caso la vista che ci appare appena usciamo dalla tenda, compensa qualsiasi disagio. Il sole accende le creste delle onde e si riflette abbagliante sulle cime innevate intorno a noi.
Alle nove ci troviamo tutti nel gamme per la colazione e per il briefing. Nei nostri zaini dobbiamo prevedere anche lo spazio per il cibo e i termos dell’acqua, il té, il caffè e una specie di sciroppo dolciastro da sciogliere in acqua. Ci dividiamo le vettovaglie e partiamo alla volta del ghiacciaio Skansdalsbreen, che si trova al termine della valle dello Skansdalen.

Il primo incontro del mattino: una distesa di fango

Le Svalbard ci mostrano subito di che pasta sono fatte. Ci siamo allontanati solo pochi metri dal campo base che ci troviamo già ad affondare nel fango creato dai rivoli delle acque in scioglimento del ghiacciaio che qui si disperdono e moltiplicano nel loro percorso verso il mare. Affondiamo fino alle caviglie. Dirk si dà da fare e riesce a trovare due tronchi abbastanza lunghi da creare un instabile ponte ma funzionale per attraversare la parte più fangosa. Grazie ai bastoncini non abbiamo eccessive difficoltà a tenerci in equilibrio sugli stretti tronchi, mentre per gli altri la faccenda è più complicata. Così creiamo un ponte virtuale fra chi è già passato e quelli che devono ancora passare lanciandoci da una sponda all’altra i nostri bastoncini.
In pratica siamo appena partiti e già abbiamo scarponi e pantaloni infangati. Ma scopriremo presto che non si tratta di un grosso problema.

E dopo il fango, l’acqua gelida

Proseguiamo ancora per un’oretta dentro la valle ed eccola lì la nostra pulitrice automatica. Dobbiamo guadare il torrente lungo cui abbiamo camminato finora. Dirk cerca un buon punto per attraversare. Ma c’è poco da scegliere, comunque vada c’è da mettere i piedi in acqua. Trovato un punto in cui un masso appena sotto il pelo dell’acqua ci può fare da puntello, Dirk aiuta ciascuno di noi a compiere i due balzi che servono per attraversare il torrente e – con l’acqua fin quasi alla caviglia, – gli scarponi si danno una bella lavata dal fango che cominciava a seccarsi.
Già alla prima uscita è evidente l’importanza di essere attrezzati (link equipaggiamento) in modo appropriato per non camminare tutto il giorno con i piedi bagnati.

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Attraverso canyon, tratti innevati e ghiaioni, alle due del pomeriggio arriviamo nel punto un cui, due anni fa, Dirk ricorda di aver visto la parte terminale del ghiacciaio. Oggi non ne rimane più nulla. Il ghiacciaio si è ritirato ancora più in dentro nella gola in cui ci troviamo, lasciando solo pozze di acqua e macchie di neve. In fondo, delle cascate di un’acqua marrone sono l’unico segno dello scioglimento del ghiaccio e dei detriti che porta con sé. Dopo una breve sosta per il pranzo ci rimettiamo in cammino per tornare al campo sempre dentro la vallata dello Skansdalen ma seguendo un tracciato leggermente differente. Passiamo in una zona in cui nidificano gli uccelli che a decine volteggiano nell’aria riempiendola con i loro stridii. La temperatura si mantiene costante di qualche grado sopra lo zero. Per noi è comunque un continuo vestirci o spogliarci a seconda che si cammini in pieno sole o in zone d’ombra, in un tratto esposto al vento o riparato. Attraversiamo ancor ampi tratti innevati e il torrente di stamattina, in un punto più largo, così gli scarponi si danno un’altra bella lavata.

Stanchi ma soddisfatti dopo 7 ore di cammino

Dopo sette ore di camino giungiamo in vista del campo base. Per evitare il fango nel quale ci siamo impantanati nell’andata, Dirk ci fa fare un giro più largo. Ma è come cadere dalla padella nella brace. Il torrente irruento che con due balzi abbiamo attraversato dentro la valle, qui, nei pressi della foce, si allarga a poco meno di una decina di metri. C’è poco da compiere balzi, ci laviamo per bene, con l’acqua che sale ben oltre la caviglia e inevitabilmente entra negli scarponi dal bordo superiore. Poco male. Ormai siamo al campo base.
Dirk festeggia questa nostra prima uscita con una grigliata di tranci di salmone cotti sulla spiaggia. Mangiamo avvolti nelle nostre calde felpe in riva al mare, Mar Glaciale Artico però.

  • Rheinfall, Schaffausen (CH)
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