Il risveglio a Longyearbyen

24 giugno 2011 – Ci svegliamo a un passo dal polo nord


Il risveglio: stessa luce di quanto ci siamo addormentati e incontro con la volpe artica.
Ci siamo svegliati alle cinque del mattino dopo tre ore di sonno che ci sono sembrate dieci. Apriamo le tende. Fuori dalle nostre finestre Longyearbyen sembra profondamente addormentata. Le casette multicolori sono silenziose e negli spazi sassosi ai lati delle strade sono parcheggiate file e file di motoslitte.

La comunità si trova su un terreno appena ondeggiante con la parte più bassa che digrada verso la baia e quella più alta che arriva alle pendici delle colline che si trovano alle sue spalle, dove ci trovano le vecchie miniere. Sul piazzale di ghiaia e terra oltre la strada scorgiamo un movimento tra le motoslitte. Aguzziamo la vista è scorgiamo una volpe artica che bella tranquilla cammina in quello che – in una città normale – sarebbe uno spazio verde mentre qui è solo dello sterrato. D’estate le volpi assumono un mantello marrone, che le mimetizza molto di più nell’ambiente della pelliccia candida che hanno d’inverno. Gira con circospezione fra la strada e qualche motoslitta prima di sparire improvvisamente, forse disturbata da qualche rumore.

Decidiamo di uscire per il nostro primo contatto con diretto con le Svalbard. Alle sette siamo pronti e, recuperate le scarpe, usciamo. Cal ha indossato i pantaloni da trekking, io ho ritenuto che non servissero. Ma basta mettere il naso fuori che subito un vento gelido ci sferza. L’artico è vicino… e si sente. Faccio dietro front e vado a infilarmi subito nei miei pantaloni felpati.

Come a Whittier in Alaska, le strade non sono altro che una striscia di asfalto gettato sulla terra battuta e che finisce direttamente sullo sterrato senza alcun marciapiede o cordolo. E qui, come là, l’arredo urbano è un concetto al quale non si dà alcuna importanza. Tubi, cavi e quant’altro fanno bella mostra di sé ovunque. I vecchi tralicci di legno, ai quali sono appesi carrelli della teleferica che trasportava il carbone dalla miniera nella collina dietro Longyearbyen fino alla centrale, sono oramai parte della storia di questo luogo come le loro condizioni precarie e la ruggine onnipresente. Lo scenario sulla baia ti mozza il fiato. Ampie chiazze di neve macchiano i versanti delle colline e si allargano fin dentro la comunità. La neve qui è una presenza costante dodici mesi l’anno. E non c’è un albero, una siepe, almeno un cespuglio neppure a pagarlo oro
Dopo la colazione al Radisson Hotel siamo pronti alle 8.30 per salire sull’autobus per imbarcarci sul battello, un vecchio peschereccio riconvertito, che ci porterà a Barentsburg.
Alla guida diciamo i nostri cognomi, ma a quanto pare non ci siamo nella sua lista, eppure Stefano Poli ci aveva assicurato di aver prenotato per noi. Comunque la guida ci fa salire, tanto due in più o in meno non fa differenza. Dopo qualche minuto viene da noi e ci mostra la lista, “siete Gabriella e Roberto” ci dice mostrandoci la prenotazione che Stefano ha fatto a nome di ScriCal. Sorridiamo al pensiero che il nostro pseudonimo si sia impossessato delle nostre identità reali.

Our closest awakening to North Pole
After only three hours of sleeping, at 5 o’ clock in the morning, we are awake again, just in time to see a Arctic Fox outside our window. We took a short walking in the silent streets of a cold Longyearbyen, no more than 5° Celsius. After breakfast at Radisson Hotel we took the bus for the excursion to Barentsburg that Stefano booked for us.

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