Högskulefjellet e Perdalen

Högskulefjellet, mezza costa, mattino 3 ore. Perdalen, pomeriggio 5 ore, dislivello circa 200 mt

29 giugno 2011

Un’altra bella giornata di sole. Per oggi, ultimo giorno di escursioni, spezziamo la giornata in due e pranziamo al campo. Al mattino la prendiamo tranquilla. E’ poco più di una passeggiata. Saliamo appena sull’Högskulefjellet che sovrasta il nostro campo base. Un’ottima occasione per incrociare altre renne e vedereIMGP7609_renna i cani partire in quarta, tornare, essere puniti e ripartire alla prossima renna. Ne incontriamo anche una che è seguita dal piccolo. Saliamo fino a circa duecento dei seicento metri della collina. Da lassù vediamo una pattuglia della polizia che perlustra il nostro campo. Incomprensibilmente ci sequestra le due palle di plastica IMGP7630_campobasecon le quali abbiamo allestito il nostro bowling privato. Sarà mica che le considerano reperti archeologici? La mattinata scivola via tranquilla con un ultimo sguardo dall’alto della baia di Skansbukta, dove ci troviamo e sulle montagne che cingono il Billefjorden.

Perdalen: ci si bagna i piedi alla grande

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Dopo pranzo via verso la foce per inoltrarci nel vallone di Perdalen. Potremmo passare per la vasta area di fango del primo giorno, ma Dirk preferisce affrontare la serie di torrenti. Così, scarponi in spalla, e scarpette ai piedi affrontiamo uno dopo l’altro gli innumerevoli canali che confluiscono o si separano prima riversarsi in mare. Dopo aver guadato i primi, le gambe sono così fredde da essere anestetizzate agli attraversamenti successivi. Neppure le calde calze di lana e gli amici scarponi sono sufficienti per riscaldarci i piedi. Ci vuole un bel tratto prima che finalmente prendiamo sensibilità alle gambe. Il nostro piccolo escursionista ha un piede che non riesce a scaldarsi perché gli è entrata dell’acqua nei scarponi, allora Dirk chiede al padre un calzino asciutto e un sacchetto di plastica. Cambia il calzino al ragazzino e ne avvolge il piede dentro il sacchetto di plastica, poi gli fa calzare lo scarpone. La plastica ha lo scopo di non far disperdere il calore del piede e allo stesso tempo di isolarlo dallo scarpone bagnato. Dopo qualche minuto la nostra gazzella di dieci anni riprende il suo continuo andare avanti e indietro.


Ci inoltriamo nel canyon ancora fra pietre, fango e neve, lo percorriamo per un primo tratto fiancheggiando il torrente che scorre a fondovalle fra ampie e spesse placche di neve. Poi saliamo abbastanza in verticale lungo un ghiaione e rimaniamo a mezza costa. E’ davvero l’ultimo colpo d’occhio a Skansbukta che ci ha ospitato in questa settimana.

L’ultimo colpo d’occhio a Skansbukta

Da qui si vede come sia ampia la zona della foce con i mille rivoli dei torrenti, la parte fangosa e il muschio che la circonda ai lati. Torniamo lentamente verso il campo base. Camminiamo senza fretta, per rimanere ancora qui fuori il più a lungo possibile e perché, a dire il vero, la stanchezza comincia a fare capolino sulle gambe. E’ un andare lento il nostro, consapevole della conclusione di questo fantastico viaggio, controlliamo i sassi alla ricerca di fossili di cui la zona è molto ricca. Attraversiamo un ampio terreno fatto di muschio e ci divertiamo a vedere i nostri piedi che vi spariscono dentro.
Di nuovo alla foce. Una parte del gruppo con Dirk e il fucile vanno a vedere dei resti di una miniera con quel rimane di un’imbarcazione tirata a secco che abbiamo visto in decine di cartoline a Longyearbyen. Noi con il papà e il ragazzino li aspettiamo con la compagnia dei cani e della pistola lanciarazzi. Compiamo l’ultima attraversata dei torrenti della foce, lasciandoci quello più profondo per ultimo, come ciliegina sulla torta. Non ci togliamo neppure più i pantaloni ormai siamo nei pressi del campo e “sia quel che sia”. La corrente è parecchio forte, Dirk stenta a trovare un punto più tranquillo. Alla fine ci lanciamo in acqua, tanto non c’è di che scegliere, e traballanti sulle gambe compiamo la nostra ultima traversata.

  • Ludwigsburg
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